La sanità pubblica e il socio sanitario al privato. Perché questa contraddizione?
Tutti noi vogliamo un Servizio Sanitario Pubblico all’altezza delle aspettative e rivolgiamo forte attenzione alle criticità ed alle riforme che lo stesso subisce.
Nell’ambito delle competenze della Giunta Regionale, la materia sanità riveste per la quantità di risorse economiche coinvolte e per l’importanza che riveste nel suo complesso, un ruolo centrale nel dibattito politico.
Perché la stessa centralità non viene invece riconosciuta all’ambito dell’Assistenza Sociale? Si tratta di un ambito in cui le necessità di assistenza e i bisogni dei cittadini non sono di certo inferiori.
L’innalzamento dell’età media nella nostra regione, la crescita delle disuguaglianze e del disagio sociale e mentale sono fenomeni che necessitano una attenzione analoga a quella della salute fisica.
Forse non tutti sanno che la gestione dei servizi socio-sanitario assistenziali è storicamente demandata al così detto “privato sociale”, definizione per individuare la galassia di cooperative sociali a cui è di fatto demandato dal servizio pubblico la gestione dei vari servizi.
Nell’ambito socio sanitario in Umbria operano circa 180 cooperative che danno occupazione a circa 4.000 operatori. Queste cooperative (oltre a quelle di fuori regione) partecipano periodicamente alle gare di appalto dei Comuni e USL per la gestione dei servizi.
Ora ci chiediamo, quanti cittadini umbri sarebbero disposti a tollerare che il personale che opera nell’ambito della Sanità venisse messo in gara periodicamente per continuare ad erogare gli stessi servizi e svolgere lo stesso lavoro? E’ un vero e proprio cortocircuito.
Capita, in questi continui passaggi, che un infermiere deve rinunciare all’anzianità di servizio e ad altri vantaggi che derivano dalla sua professionalità nel tempo.
Si potrebbe obiettare che il “nostro infermiere” è anche socio della cooperativa e che quindi, date certe condizioni, può usufruire di vantaggi economici. Non è così.
Si arriva al paradosso che assistiamo a forme di autofinanziamento tramite il versamento di quote sociali che dovrebbero essere facoltative, ma che invece sono decisive per entrare al lavoro. Come se non bastasse, assistiamo a tagli delle retribuzioni che sono funzionali al mantenimento dei costi di gestione e al contenimento dei costi.
Tanto per essere chiari, quando il servizio viene mantenuto, c’è qualcuno che paga: il lavoratore.
In virtù di tutto ciò qualunque legge che intenda garantire il rispetto dei diritti dei lavoratori non può prescindere dall’escludere il costo del lavoro dall’offerta nella base d’asta, anzi i capitolati di appalto dovrebbero riconoscere automaticamente un aumento dei costi ogni volta che si rinnova un Contratto Nazionale di lavoro.
Valerio Natili
Segretario Generale Fisascat Cisl Umbria
Perugia, 12 dicembre 2022